Il fenomeno mistico investe tutte le religioni. In ambito cristiano mentre per i primi secoli “mistico” è semplicemente colui che vive la vita di fede attraverso i sacramenti e una vita evangelica che da essi trae motivazioni e forza – in tal modo ogni battezzato è, in fondo, un mistico se vive per quanto può in coerenza con l’Evangelo -, da un certo momento in avanti, forse per influsso della filosofia neoplatonica, il mistico diventa colui che ha una conoscenza e un rapporto diretto con Dio, una sorta di esperienza passiva, accompagnata da locuzioni, visioni e altri fenomeni speciali.
Questa immagine del mistico è quella che si è affermata nel tempo e non è priva di rischi. Secondo G. Scholem, forse il maggiore studioso della mistica ebraica infatti il mistico è un credente a rischio che cammina sempre sul filo del rasoio tra ortodossia ed eresia – cosa questa di cui anche molti mistici cristiani sono stati accusati e per questo inquisiti.
È successo anche a santa Veronica Giuliani (1660-1727), senz’altro la più importante mistica cappuccina, che, anche in virtù delle accuse cui sopra si accennava, fu costretta a tenere un diario che ci è arrivato manoscritto. Esso è custodito nel Monastero di Città di Castello, e ne esiste un’edizione a stampa di tipo divulgativo, mentre manca un’edizione critica.
Sono circa ventiduemila pagine scritte con una grafia ampia e distesa; la lingua risente ampiamente del dialetto tifernate. Del resto, fino a circa mezzo secolo fa, nei monasteri si parlava il dialetto locale.

Santa Veronica parla poco di Dio. Piuttosto parla con lui che le risponde. Da questo dialogo, i cui termini presentano delle costanti pur cambiando nel tempo, emerge chi sia Dio per lei. Bisogna premettere però che c’è una profonda evoluzione nel modo di essere di lei: da giovane capace di “pazzie” per amore del suo Signore – identificabili con straordinarie penitenze e grandi fatiche fisiche per servire le sorelle del monastero -, a donna matura e di governo che, nel 1721-22, farà installare un impianto d’acqua corrente proprio nel monastero e proprio per evitare alle suore fatiche superflue.
Per santa Veronica Dio è soprattutto Gesù visto nella sua umanità: Gesù bambino in particolare e il Cristo glorioso con le sue gloriose ferite. Soprattutto, nell’uno e nell’altro caso, è lo sposo. Occorre dire ancora che a quei tempi la Bibbia era inaccessibile ai fedeli. La Santa perciò, che non sapeva il latino e quindi non poteva leggere le Scritture direttamente, le cita per brevi frasi, sempre più o meno le stesse attraverso il breviario, alcune parafrasi in italiano dei testi trovate in libri di pietà e quello che sentiva dai predicatori e dai confessori.
Così nel Diario sono presenti parecchie citazioni che rimandano soprattutto al Cantico dei Cantici, in riferimento alle nozze mistiche – esperienza che si ripete parecchie volte –, a san Paolo, e alle formule di auto rivelazione di Giovanni.
Un posto particolare merita la formula Ego sum qui sum[ Es 3:14.], presa da un’antifona dell’Ufficio di Pasqua con la quale Gesù si rivela a lei nel contesto, appunto, delle nozze mistiche che avvengono il venerdì santo e a Pasqua la prima volta. È nello stesso contesto che appaiono le citazioni del Cantico che rimandano alla formula d’alleanza, per esempio Dilectus meus mihi et ego illi[ Ct 2:16.]. La coerenza dell’esperienza veronichiana sta in questa concorrere di Cantico, pasqua e nozze mistiche che si inserisce nel filone della migliore tradizione: gli ebrei leggono a Pasqua il Cantico e i cristiani per svariati secoli, almeno fino ad Ambrogio, han visto i sacramenti dell’iniziazione che a Pasqua si celebravano, in chiave sponsale.
Benché il linguaggio della Santa sia fortemente affettivo, la realtà del suo rapporto con Dio non è sentimentale: l’affetto diventa subito servizio nei confronti della comunità, e anche questo è un inveramento dell’alleanza, dato che sia al Sinai che nel Nuovo Testamento la genuinità di una relazione con Dio si gioca tutta nei rapporti con il prossimo. Non esiste mistica che non si risolva in servizio. Il rapporto diretto con l’Eterno è sempre relazione di amore concreto a persone concrete.
Si è accennato alle formule di auto rivelazione del Signore proprie di Giovanni. Quelle che compaiono nel Diario[ Gv 6:20, 14:6 cinque volte, 15:5, 18:5 otto volte.] rimandano quasi sempre a Es 3:14: Dio è colui-che-è senza altri commenti. Tuttavia c’è una formula interessante che deriva senz’altro da santa Teresa d’Avila di cui Veronica era assidua lettrice: “io sono il tuo libro”. Essa mostra come anche per Veronica sia possibile un’ermeneutica personale della Scrittura riferita, come per Teresa alla propria situazione.
Se Gesù-sposo dice una relazione amorosa di partecipazione alla vita di lui, Gesù libro ci parla di una volontà costante di educazione, di un rapporto dinamico entro il quale si cresce. Un libro è capace di cambiare la vita di una persona, darle nuovi impulsi, aprirle orizzonti. È così per le Scritture, la cui frequentazione è l’unico vero percorso spirituale possibile. Nel nostro caso, essendo queste inaccessibili, è la rivelazione diretta a fare da scuola. Del resto a Teresa d’Avila era successo lo stesso. Quando venne proibita la traduzione in spagnolo della Bibbia, che era appena cominciata, se ne lamentò col Signore, che le rispose di non crucciarsi, perché egli stesso le avrebbe dato un libro vivo.

Tuttavia l’esito della mistica non è la mistica in sé che non può bastare a se stessa. Penso di non esagerare dicendo che i fenomeni mistici sono una sorta di ripiego. Quando un credente non può accedere alle fonti genuine della fede per nutrirsene come le Scritture, i padri e la liturgia, se davvero vuole servire Dio, Dio – diciamo così – gli va incontro con una relazione diretta, aldilà delle mediazioni. Se Veronica fosse vissuta oggi (non dobbiamo dimenticare la concezione della mistica nei primi secoli) forse Scrittura e liturgia le sarebbero bastate per un genuino incontro col Signore e una vita di servizio. Semmai dovremmo chiederci come mai noi, che abbiamo a disposizione questi tesori li consideriamo di routine.
Al momento della sua morte, Veronica disse alle sorelle che erano attorno a lei: “Ho trovato l’amore. Ditelo a tutti. Ditelo a tutti”. “Quaesivi et inveni”, secondo la nota formula agostiniana. Il centro della sua vita sin dall’infanzia era sempre stato questo: cercare l’Amore, cercare Dio – e resta questa la sua esperienza e il suo insegnamento più importante.

Sr. Stefania Monti