Gv 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Siamo nel primo giorno della settimana, il primo dopo il sabato che era Pasqua in quell’anno, il 7 aprile dell’anno 30: è il giorno della scoperta della tomba vuota, perché Gesù è risorto da morte. I discepoli di Gesù, che erano fuggiti al momento dell’arresto, sono chiusi nella loro casa a Gerusalemme, oppressi dalla paura di essere anche loro accusati, ricercati e imprigionati come il loro rabbi e profeta Gesù. Sì, la comunità di Gesù è questa: uomini e donne fuggiti per paura, paralizzati dalla paura, senza il coraggio che viene dalla convinzione e dalla fiducia, dalla fede in colui che avevano seguito senza capirlo in profondità. Tuttavia in quell’aporia c’è un lavoro che si compie nel cuore dei discepoli e nella vita della comunità: le parole di Gesù, ascoltate tante volte, seppur come addormentate sono nel loro cuore; la lettura delle Sante scritture, della Torà, dei Profeti e dei Salmi , fatta insieme a Gesù, continua a generare pensieri e acquisizioni di conoscenza del mistero di Dio e dell’identità dello stesso Gesù; la forza della fede del discepolo amato che “vide e credette” e di Maria di Magdala che dice: “Ho visto il Signore” li contagia e li smuove.
Paura e fede combattono il loro duello nel cuore dei credenti, quando Gesù in realtà è in mezzo a loro, finché possono dire: “Venne e stette in mezzo”. Il Signore è presente con la sua presenza di risorto vivente e glorioso là dove sono i suoi, ma i nostri occhi sono impossibilitati a vederlo, il nostro cuore non ha il coraggio di vedere ciò che desidera e sa essere possibile. Non sapendo dire altro, noi affermiamo: “Venne e stette in mezzo”, ma il Risorto è sempre presente e appare come Veniente quando noi ce ne accorgiamo. Questa è la realtà che viviamo ogni primo giorno della settimana, ogni domenica, e quei discepoli non erano più privilegiati di noi. Gesù è in mezzo a noi, nella posizione centrale: se non lo è, significa o che non lo vediamo per mancanza di fede, oppure che prendiamo volentieri il suo posto al centro, attentando alla sua signoria unica di risorto e vivente. Solo chi sa dire: “È il Signore!”, sa vederlo e riconoscerlo.
Ed ecco, nel racconto giovanneo, che appena Gesù “è visto”, dona la pace, lo shalom, la vita piena, e accompagna questa parola con dei gesti. Innanzitutto si fa riconoscere, perché non ha più la forma umana di Gesù di Nazaret, quella che i discepoli conoscevano e tante volte avevano contemplato. È altro perché il suo corpo cadaverico non è stato rianimato ma trasfigurato, trasformato da Dio in un corpo il cui respiro è lo Spirito santo, lo Spirito di Dio, quello che Gesù respirava nel seno del Padre da sempre, prima della sua incarnazione nel seno della vergine Maria, prima della sua venuta nel mondo. Ma in quel corpo di gloria restano le tracce del suo vissuto umano, della sua sofferenza-passione, dell’aver amato fino a dare la vita per gli altri. Sono le piaghe, le stigmate, i segni della croce alla quale è stato appeso, e insieme a esse il segno dell’apertura del petto a causa del colpo di lancia, apertura che proclamava il suo amore, che come fiume uscito da lui voleva immergere l’umanità per perdonarla, purificarla e portarla alla comunione con il Padre.
Questo Soffio che entra in noi e si unisce al nostro soffio ha come primo effetto la remissione dei peccati. Li perdona, li cancella, in modo che Dio non li ricorda più. Questo Soffio è come un abbraccio che ci mette “nel seno del Padre”, ci stringe a Dio in modo che non siamo più orfani ma ci sentiamo amati senza misura di un amore che non abbiamo meritato né dobbiamo meritare ogni giorno. “Ricevete lo Spirito”, dice Gesù, cioè “accoglietelo come un dono”. Una sola cosa è chiesta: non rifiutare il dono, perché il Padre dà sempre lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono. È il dono della vita piena; il dono dell’amore che noi non saremmo capaci di vivere; il dono della gioia che spegneremmo ogni giorno; il dono che ci permette di respirare in comunione con i fratelli e le sorelle, confessando con loro una sola fede e una sola speranza; il dono che ci fa parlare a nome di tutte le creature come voce che loda e confessa il Creatore e Signore.
Gesù, che prima di andarsene aveva detto: “Ricevete, mangiate; questo è il mio corpo”, ora dice: “Ricevete lo Spirito santo”, sempre lo stesso invito ad accogliere il dono.
Spetta a noi ricevere il corpo di Cristo per diventare corpo di Cristo,
spetta a noi ricevere lo Spirito santo per respirare lo Spirito.
E in questa nuova vita animata dal Soffio santo sempre e sempre avviene la remissione dei peccati: Dio li rimette a noi e noi li rimettiamo agli altri che hanno peccato contro di noi . Non c’è liberazione se non dalla morte, dal male e dal peccato! La Pentecoste è la festa di questa liberazione che la Pasqua ci ha donato, liberazione che raggiunge le nostre vite quotidiane con le loro fatiche, le loro cadute, il male che le imprigiona. Possiamo davvero confessarlo: il cristiano è colui che respira lo Spirito di Cristo, lo Spirito santo di Dio, e grazie a questo Spirito è santificato, prega il suo Signore, ama il suo prossimo.
(commento di Enzo Bianchi)
Don Luigi Giussani
Il miracolo è la realtà umana vissuta quotidianamente, senza enfasi eccezionali, senza necessità di eccezioni, senza fortune particolari, è la realtà del mangiare, del bere, del vegliare e del dormire investita dalla coscienza di una Presenza che ha i suoi terminali in mani che si toccano, in facce che si vedono, in un perdono da dare, in soldi da distribuire, in una fatica da compiere, in un lavoro da accettare.
Con le parole di Veronica
Non posso dire altro: Iddio è pazzo, fa pazzie d’amore; resto Anch’io impazzita, attonita di tanto bene; dico con san Francesco Saverio: Satis Domine. Lui lo diceva quando sentiva tanto amore in se ed io lo dico vedendo tante e tante grazie in me. Più dico e meno sono intesa; so pure che Dio senza parlare sa tutto, conosce tutto e pare che non mi conosca, dico così, perché fa sempre più pazzie amorose in questo cuore, in quest’anima. (D V, 133)