La parola delle donne per trasformare il “noi” ecclesiale

Le riflessioni sul binomio “donne e riforma della Chiesa” apportano, nel quadro dei tanti contributi dedicati al tema della riforma ecclesiale, tre elementi-chiave.

1) In primo luogo, ci troviamo davanti a una fase storica ed ecclesiale inedita. Le donne sono oggi portatrici nella società, e anche nella Chiesa, di una parola autorevole, competente, pubblica. Sono segnate da forme di soggettualità e possibilità di azione sconosciute alle donne delle generazioni dei secoli passati.

Lo studio della storia delle Chiese cristiane permette di recuperare la memoria di alcune donne impegnate in processi di “riforma nella chiesa” (vita monastica, partecipazione delle donne alla Riforma protestante, fondazione di istituti religiosi di vita attiva, associazionismo laicale, etc.), ma allo stesso tempo mette in evidenza l’assenza delle donne dai processi di “riforma di chiesa” quando il cambiamento è intenzionale e complessivo, nonostante le intuizioni di riforma e riforme possibili ed auspicate che non poche consegnano nella forma della visione o del linguaggio della profezia.

Oggi le donne ‒ che costituiscono l’«immensa maggioranza» del corpo ecclesiale, dei praticanti abituali, degli operatori pastorali ‒ desiderano partecipare e offrire il loro contributo specifico alla riforma complessiva del corpo ecclesiale, dei suoi dinamismi, forme relazionali, pratiche. «Le rivendicazioni dei diritti delle donne […] pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e non si possono superficialmente eludere» (Francesco, Evangelii gaudium 104), mostrano la distanza nel corpo ecclesiale tra affermazioni teoriche di soggettualità sul fondamento battesimale, appelli alla corresponsabilità, ed effettivo riconoscimento sul piano operativo: non raramente si relegano donne e laici al ruolo di “collaboratori” della gerarchia o di “comparse” e “manovali” chiamati ad applicare orientamenti definiti dalla sola gerarchia.

Non basta ascoltare la parola di alcune donne perché la riforma possa darsi: è necessario attivare processi sinodali, a tutti i livelli (dalle diocesi alle Chiese nazionali), che permettano a tutte le donne che lo desiderano di esprimere intuizioni e sogni di una riforma ecclesiale, segnalare problemi aperti, denunciare fattori di discriminazione o sottovalutazione, suggerire percorsi di trasformazione. È giunto il tempo di celebrare “Sinodi delle donne sulla chiesa”.

2) In stretto rapporto con questo primo snodo, un secondo: la riflessione teologica che le donne hanno sviluppato in questi cinquant’anni è ricca e molteplice, per sensibilità e approcci, ma rimane poco riconosciuta, raramente citata, spesso indicata nella forma di una “notevole eccezione” a fronte di una teologia che rimane in larga parte androcentrica, per linguaggio, categorie, prospettive. La riforma ecclesiale chiede di pensarsi insieme come “Chiesa di uomini e donne”, nella consapevolezza che la Chiesa è orientata, strutturata, organizzata a partire da modalità di interpretazione della differenza sessuale, e che nel disegnare una visione ideale di Chiesa verso cui camminare dobbiamo tenere coscientemente presente la questione di genere. Una riflessione sistematica sulla maschilità, sul rapporto tra maschilità e potere nella chiesa cattolica – tematica oggi quasi assente – è divenuta urgente.

3) Infine, è ormai emerso con chiarezza che non si tratta di sostituire strutture desuete con altre strutture, ma di ri/attivare e ri/definire processi complessivi. Ogni riforma ecclesiale tocca contemporaneamente e correlativamente tre piani: l’autocoscienza collettiva (maturare una nuova visione di Chiesa), la forma della vita ecclesiale (le dinamiche partecipative e comunicative, il modo di vivere la comunione, lo stile ecclesiale), le strutture e le istituzioni attraverso le quali il corpo ecclesiale agisce e si mantiene nel tempo.

Sui primi due piani le donne possono oggi, in particolare con la loro parola e azione pastorale, operare direttamente in ordine al cambiamento auspicato; per una trasformazione delle strutture del “noi” ecclesiale complessivo, invece, l’agire delle donne non può essere che indiretto e parziale. Una riflessione, condotta in prospettiva di genere, sul potere e sui poteri nella Chiesa appare allora imprescindibile; senza ridurre troppo facilmente una tale richiesta a “rivendicazione femminista”, essa aiuterebbe la Chiesa intera ad affrontare con maggiore libertà un argomento basilare, che però raramente viene nominato o che viene “banalmente” sublimato nel ricorso generico alla terminologia del “servizio”.

Non può darsi riforma di Chiesa che prescinda oggi da una riconsiderazione delle forme di ministerialità delle donne: si tratta di promuovere nei diversi contesti e ai diversi livelli di vita ecclesiale “percorsi di ricerca” teologico-sistematica e pastorale sui molteplici ministeri di fatto esercitati dalle donne, sui ministeri istituiti da promuovere, sulla possibilità di una ordinazione diaconale. La Chiesa vive – oggi più che mai – della profezia e della diakonía delle donne: le strutture, i ruoli, le funzioni che fanno Chiesa devono essere così riplasmati.


Serena Noceti