Oggi il problema ermeneutico è molto avvertito; riguarda tutti i settori del vivere umano nella sua storicità ed individua il desiderio, mai del tutto realizzato, d’interpretare la realtà, ambigua e complessa, nei suoi molteplici aspetti, cogliendone il senso genuino, profondo e unificante con l’intenzione di chiarirlo anche agli altri. Non a caso l’ars interpretandi era ritenuta un’attività divina, per cui, nella mitologia greco-romana, Mercurio fu chiamato Ermete, cioè interprete degli dei. Il sostantivo “ermeneutica” deriva, infatti, dal verbo greco “ermeneuo” (inf. ermeneuin) che di per sé significa enunciare, tradurre, interpretare, tre accezioni che convergono nel fatto che si giunge alla comprensione di una realtà. Tanto basta per dire che si fa ermeneutica ogni volta che si cerca di capire qualcosa.

COMPLESSITÀ

Da questo punto di vista ogni disciplina ha la sua ermeneutica, tanto le scienze della natura, quanto quelle dello spirito e, tra queste, non solo la psicologia, la letteratura, la filosofia, ma anche la Sacra Scrittura, la teologia e la mistica.
Nel loro caso, sono i testi a dover essere compresi e, dunque, interpretati. Ogni opera va anzitutto conosciuta internamente per quello che è, nei suoi elementi oggettivi che, almeno talvolta non lasciano immediatamente trasparire il loro significato. Dobbiamo ricordare anche che ogni testo è datato; va, dunque, saputo collocare nel suo ambiente perché risponde al mondo dei fatti e dei significati di quel determinato periodo e di quello specifico contesto. Alcuni, in maniera geniale, superano, per la loro qualità, la contingenza epocale, ma sempre si esprimono relazionandosi ad essa. La storicità al pari dell’intenzionalità caratterizza l’ermeneutica come lettura del mondo umano. Infatti, se l’ambiente naturale risponde sempre a delle leggi fisiche che lo spiegano secondo un procedimento di causa ed effetto, la storia va al di là delle cause naturali e deve gran parte del suo significato all’intenzionalità umana che liberamente vuole, progetta, sceglie e decide.

INTENZIONALITÀ

Inoltre, secondo una classica distinzione della filosofia scolastica, in ogni testo occorre distinguere l’intenzione dell’autore e l’intenzione dell’opera. D’altra parte, la duplice intenzionalità caratterizza ogni processo comunicativo sia che si esprima in azioni, sia che si realizzi principalmente in parole, orali o scritte. Infatti, i limiti del linguaggio, le circostanze della comunicazione e, soprattutto, la ricchezza e la complessità del contenuto che si intende trasmettere, fanno sì che quanto di fatto riusciamo ad esprimere agli altri non sempre sia identico a quello che effettivamente volevamo enunciare. Inoltre, anche quando ci esprimiamo compiutamente, il linguaggio da noi adoperato, per la sua storicità, risulterà ben presto inadeguato ad esprimere la stessa realtà e, verosimilmente, richiederà nuove concettualizzazioni. L’opera in sé va dunque compresa per quello che intendeva dire in quel determinato momento, ovvero nella sua permanente oggettività che, perciò, va sempre correttamente accostata e interpretata.
Va anche detto che nell’arco del processo interpretativo, ogni testo mostra un’affinità (simpatia) ed una distanza. La parola scritta si apre al lettore nel terreno della comune umanità, ma tende anche a chiudersi perché non è immediatamente il risultato della personale esperienza soggettiva. Se poi questa soggettività non è soltanto “altra” nell’oggi, ma anche nel tempo e nello spazio la distanza interpretativa sembra diventare una vera barriera.
Importante è pure rendersi conto del motivo per cui scegliamo di prendere in considerazione quel testo e non un altro. Certamente le circostanze giocano spesso un ruolo di primo piano, ma è la nostra precomprensione che risulta decisiva. Quali sono, dunque, le nostre aspettative, i nostri interrogativi, i nostri desideri? Qual è l’orizzonte ermeneutico, relativo alla mia situazione e alla mia esperienza, con cui mi pongo di fronte a quel testo e mi rapporto con esso? Infatti, se voglio che esso mi risponda devo avere ben chiara la domanda; se desidero che mi chiarifichi, devo aver presente il terreno da decifrare.
Come, dunque, si può facilmente constatare il processo interpretativo non si compone soltanto in riferimento alla comprensione dell’intenzione dell’autore e di quella dell’opera, ma contemporaneamente s’intreccia con l’attuale intentio lectoris.

TRADIZIONE

In questa mutua relazione abitualmente non agiamo da isolati. Tra noi (soggetto) e il testo (oggetto) si colloca una ricca tradizione che è doveroso considerare. Altri hanno accostato e interpretato quel testo e la mia comprensione, invece di inaridirsi in una prospettiva solipsistica, potrà avvalersi del loro contributo e della loro esperienza. In questo senso, grazie alla tradizione, la distanza che sembrava essere una barriera alla comprensione del testo diventa un arricchimento di senso e di nuovi significati costantemente attualizzati. Precomprensione, interpretazione e attualizzazione vanno di pari passo.

L’ERMENEUTICA DEI TESTI BIBLICI, TEOLOGICI E MISTICI

Il quadro di riferimento appena evidenziato, di per sé, vale per l’ermeneutica di ogni testo, particolarmente se antico.

La Sacra Scrittura
La problematica è emersa soprattutto in riferimento alla Sacra Scrittura, e allora si dovrà tener presente che non di sola parola umana si tratta, ma anzitutto di Parola di Dio. Unitamente alla critica storica, testuale e letteraria, i concetti di ispirazione, canone, tradizione e la lettura ecclesiale della parola biblica permetteranno di comporre l’orizzonte adeguato per l’approccio a questo unico testo teandrico.

La teologia
Anche nel campo della riflessione teologica l’ermeneutica ha il suo peso. La teologia ha una sua storia; il vivere umano in genere e quello della comunità di salvezza in particolare è attraversato dalla riflessione e varie sono state e sono le maniere d’interpretare e disporre la stessa teologia. Infatti, l’unico messaggio cristiano può essere proposto in molteplici e convergenti chiavi di lettura. «L’ermeneutica ha dato prova di essere non un’occupazione facoltativa per teologi raffinati, ma una necessità vitale per ogni teologo che intenda il proprio compito come un servizio critico alla chiesa, al mondo e al perseguimento della verità. […] Tutti gli interpreti che hanno preso coscienza della natura linguistica del loro pensiero e del condizionamento sociale e storico del loro linguaggio hanno certamente già sperimentato il bisogno di mettere in questione e di trascendere il loro orizzonte limitato. Una corretta formazione ermeneutica è dunque certamente in grado di fornire un punto di partenza appropriato per ogni itinerario mirante ad una comprensione più soddisfacente di Dio, dell’io umano, e del mistero del nostro essere in questo mondo».

La mistica
Quando, poi, entriamo nel mondo della mistica la marea interpretativa appare inarrestabile e c’è chi pregiudizialmente sembra ignorare ogni criterio. L’occhio del teologo invece è portato ad indirizzare le questioni, ad assumere un metodo, a porre degli argini. Anche qui c’è una realtà da comprendere e comunicare, ma l’effluvio delle parole sembra nascondere la sorgente fino a disorientare. D’altra parte, l’esperienza soggiacente lascia intuire una ricchezza esorbitante che non può essere ignorata, ma che, forse, non potrà mai essere resa in termini puramente concettuali. La distinzione tra apprensione diretta e riflessa espressione concettuale va presa sul serio e seguita fino alle sue ultime conseguenze. La trascendenza assaporata nell’esperienza non viene descritta, eppure, sono resi in termini umani i segni della sua presenza e del suo operare. Anche là dove si cerca di offrire fondamentalmente «una pura descrizione dell’esperienza originaria della trascendenza, ciò non può avvenire se non per mezzo di una infrastruttura concettuale che non è immediatamente ricavata dall’esperienza originaria stessa – perché diversamente questa descrizione resterebbe completamente inintelligibile per chi sta al di fuori – ma piuttosto si serve di immagini, di concetti e di orizzonti concettuali che vengono da altrove e sono segnati dalla condizionatezza del contesto religioso, culturale e storico di colui che descrive quella esperienza». Se l’inesprimibile trova un suo linguaggio, questo, a sua volta, pur forzando le sue frontiere, porta con sé la propria inadeguatezza. L’ermeneutica teologica degli scritti dei mistici rappresenta dunque un’esigenza inderogabile per una loro almeno sufficiente, corretta comprensione.

L’ERMENEUTICA DEGLI SCRITTI DI SANTA VERONICA GIULIANI

Nel caso di santa Veronica Giuliani è importante avvertire la responsabilità della comprensione e della presentazione. Indubbiamente, la sua opera mistica è un tesoro che sta a noi comprendere e comunicare adeguatamente. Questa esigenza investe il livello scientifico, ma anche quello divulgativo di ogni produzione. Non possiamo permetterci una presentazione scorretta, tanto meno ai semplici, ma tutto dipende dalla nostra comprensione. Inoltre, la prospettiva del riconoscimento dottorale non deve diventare un assillo, ma bisogna continuare a perseguirla e la strada maestra non può che essere quella di una comunicazione diffusa, discreta, chiara, attraente e, ovviamente, corretta.

EDIZIONE CRITICA

L’ermeneutica è un’arte, ma è anche una tecnica. Nel nostro caso, il primo passo da compiere è l’edizione critica integrale degli scritti di Veronica. Al momento si stanno realizzando i primi tentativi per affrontare la questione e il Centro Studi, unitamente al Monastero, auspica che quanto prima venga individuato un gruppo di esperti che si distingua per disponibilità effettiva, qualità e competenza.

FLORILEGI

Tenendo presente l’enorme mole degli scritti, il loro carattere ripetitivo, le difficoltà d’interpretazione, riteniamo che non sia da consigliare l’approccio diretto di tutti, indistintamente, agli scritti di Veronica. È preferibile seguire la via dell’incontro indiretto, mediato, ben confezionato e attualizzato, anche con riferimento esplicito ad alcune parti selezionate del Diario. L’esempio da seguire è quello propostoci da Lazzaro Iriarte nell’ormai lontano 1981.

STUDI COORDINATI

Bisogna poi riprendere gli studi sistematici e monografici su Veronica. L’ideale sarebbe quello di costituire un piccolo gruppo di esperti affiatati che sappiano comporre la duplice esigenza dell’affidabilità scientifica e della divulgazione semplice e profonda. Accanto a loro potrebbero maturare, con il dovuto incentivo e amorevole sollecitazione, delle giovani promesse. Le sorelle Cappuccine, che ininterrottamente hanno tenuto desta la memoria viva di santa Veronica anche con lo studio, la ricerca e la divulgazione dei suoi scritti, rappresentano ancora una solida base su cui investire. È a questo livello che, nella specifica originalità d’ognuno, emerge il rilievo dei criteri comuni, del metodo, per niente indifferente rispetto alle esigenze della comprensione e della comunicazione.

IL CRITERIO STORICO-LETTERARIO

Un primo parametro da tener sempre presente è di ordine storico-letterario. Gli scritti di Veronica vanno collocati storicamente e considerati nel loro genere. Bisogna anzitutto prendere atto che sono datati e rilevare, come annota Lazzaro Iriarte nella prefazione al quinto volume del Diario, “che certe espressioni, così come vengono usate dalla Santa, hanno nell’uso attuale un senso diverso, ad esempio: però, che lei usa non quale congiunzione avversativa, ma causale, come era comune allora = perciò; così: spesso ha il senso, non di avverbio comparativo, ma di superlativo = molto; mentre, usato da lei come preposizione: «mentre la santa Messa»”. Va da sé che quel che vale per le singole parole caratterizza anche, evidentemente in misura maggiore, periodi interi e lo stesso modo di pensare. Nella gran parte dei casi, poi, gli scritti di Veronica non dipendono dalla libera ispirazione personale. Sono coatti, imposti per obbedienza e danno vita ad un genere autobiografico del tutto particolare centrato sulle operazioni che Dio compie in lei e sulla sua (insufficiente) cooperazione. Anche le condizioni fisiche-ambientali del suo produrre letterario non sono affatto agevoli e lasciano intuire nel disagio la fermezza della sua decisione nel corrispondere a quella altrui.

L’ELEMENTO PROFETICO PERENNEMENTE ATTUALE

Veronica (1660-1727), inoltre, «non è una donna del Concilio Vaticano II; è donna del suo tempo, che va rispettata e compresa nel suo ambiente e che, dunque, non va impropriamente trapiantata nel nostro. Tuttavia, è donna cristiana, monaca, santa che vive l’esperienza ecclesiale del suo periodo, non solo adeguandosi all’esistente, ma anche, almeno talvolta, con uno spiccato senso profetico. L’attualizzazione, dunque, può prodursi soltanto attraverso una sapiente ermeneutica rispettosa del fatto veronichiano in sé nelle coordinate spaziali e temporali che lo caratterizzano, competente nel cogliere il retaggio culturale che, senz’altro, diffusamente incide nel comporre l’universo comprensivo-espositivo di Veronica, lucida nell’individuare l’elemento originale che può essere segnalato e proposto come atto o contenuto di valore nella comparazione tra il suo e il nostro tempo, tra la sua esperienza di Chiesa e la nostra. Il confronto, poi, richiede il discernimento dell’essenziale al di là del mutato quadro concettuale. Anche in questo caso se la lettera uccide è lo Spirito che dà la vita». In breve: la figura della Santa (gli scritti, l’esperienza mistica, ecc.), va sapientemente attualizzata per evitare una meccanica e sterile riproposizione nell’attuale contesto culturale ed ecclesiale assai diverso da quello in cui lei visse.

PRECOMPRENSIONE E FEDE ECCLESIALE

Un ulteriore criterio riguarda la nostra precomprensione, l’educazione attuale della nostra fede ecclesiale. L’accostamento agli scritti veronichiani suppone come cartina di tornasole una nostra corretta immagine del fatto cristiano nella sua ampiezza e nella gerarchia delle verità che lo compongono. Ai parametri storico-letterari si sommano quelli teologici, inerenti, cioè, la fede della Chiesa come noi siamo tenuti oggi a recepirla, viverla e proporla. Da questo punto di vista il ventaglio delle considerazioni potrebbe essere molto ampio. Accenniamo soltanto al alcuni aspetti scottanti che evidentemente suscitano problema e richiedono la nostra lucida applicazione.

DEVOZIONE ED EVANGELIZZAZIONE

Ad esempio, nel comprendere e proporre Veronica oggi si dovrà evitare l’eccessiva impronta devozionalistica non più conforme agli attuali orientamenti pastorali, indirizzati soprattutto alla nuova evangelizzazione. Il compito primario della Chiesa in Italia (e nel mondo), e quindi di tutti i cristiani, singoli e associati, non è la crescita delle devozioni ai santi, ma della fede in Cristo: attraverso un’intensa predicazione e catechesi, una partecipata liturgia soprattutto eucaristica, un profondo radicamento nella Parola di Dio. Un’ermeneutica che voglia oggi ottenere la qualifica di “ecclesiale” non può non dare rilievo primario a questi aspetti. Infatti, «il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica».

IL PRIMATO DELLA PAROLA

Nel segno di Gesù Cristo si dovrà, dunque, affermare anche il primato della Parola di Dio. Le locuzioni interiori hanno un loro dignitoso spazio nell’ambito della considerazione mistica, ma non dovranno mai prendere il posto della rivelazione. Se lo stesso Magistero della Chiesa è «servo della Parola» e il dogma è «sotto» la Parola di Dio, tanto più lo è il resoconto veronichiano che dovrà essere ponderato alla luce e nel senso della rivelazione. Sarà questa a valutare la consistenza della testimonianza di Veronica e non viceversa. Evidentemente questo raffronto non può riguardare soltanto le quisquilie; richiede che i due orizzonti d’esperienza e d’interpretazione siano compresenti nella sensibilità culturale ed ecclesiale del ricercatore in maniera che possano interagire tra loro criticandosi o confermandosi vicendevolmente nell’assoluta e inequivoca priorità del dato rivelato.

CREATURE NUOVE

Lo stesso va affermato a proposito dei molteplici e straordinari fenomeni mistici corporali ed intellettuali (estasi, compenetrabilità, luminosità corporale, transverberazione, stigmate, applicazione, raccoglimento, rapimento, visioni, tocchi…). Non sono questi l’essenziale e, se isolati come se lo fossero, nella frenesia di mostrarne l’eccezionalità, non renderebbero un buon servizio a Veronica. Questa è veramente compresa quando la si percepisce abitata dalla Parola, memori che «l’interpretazione più profonda della Scrittura […] viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio, attraverso l’ascolto, la lettura e la meditazione assidua».
Non si tratta nemmeno semplicemente di tradurre l’antichità che ci precede e la riguarda, ma di tradurre senza tradire il senso compiuto di quel che è stato vissuto e scritto nel passato, soppesarlo nel crogiuolo della rivelazione, e rilanciarlo nella sua specificità, purificato dei limiti storico-religiosi, per essere oggi autentica via d’incontro con Cristo e chiarificazione vissuta del valore della sua Parola.

CONCLUSIONE

Considerato il recente sviluppo di nuovi studi riguardanti la Santa, soprattutto in ambito cristologico, almeno quattro ambiti sembrano esprimere l’urgenza di una sana e corretta ermeneutica: l’interpretazione del dolore umano, quella della demonologia e delle immagini escatologiche e il ruolo di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.

Don Romano Piccinelli, Direttore Centro Studi “Santa Veronica Giuliani”